Acqua e suolo sono i due elementi naturali coinvolti quando si parla di fanghi di depurazione, sottoprodotto del processo di “pulizia” delle acque reflue, che può essere riutilizzato sui terreni agricoli o trasformato in energia. Ecco perché la corretta gestione del loro recupero e trattamento, fase ultima del ciclo idrico, assume un ruolo centrale in un’ottica di economia circolare, facendoli passare da costo a opportunità.
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Cosa sono i fanghi di depurazione
I fanghi, presenti negli impianti di trattamento, sono il residuo di depurazione delle acque reflue provenienti da insediamenti civili e produttivi, in cui oltre ai reflui domestici entrano anche le acque di dilavamento delle strade e gli scarichi non pericolosi degli insediamenti industriali presenti nel tessuto urbano. Sebbene esistano tecnologie per minimizzarne la produzione, i fanghi costituiscono l’inevitabile prodotto del processo depurativo; la loro quantità è direttamente correlata al grado di affinamento raggiunto. In effetti, la maggiore produzione di fanghi rappresenta per la depurazione un elemento virtuoso, poiché è direttamente correlata al carico inquinante abbattuto.
Fanghi attivi, il processo di trasformazione
Gli impianti per il trattamento e depurazione dell’acqua sfruttano tecnologie diverse; i più utilizzati sono i cosiddetti impianti a fanghi attivi, nei quali avviene l’eliminazione delle sostanze disciolte e dei solidi sospesi. Il processo si basa sull’azione metabolica di microrganismi, come i batteri, che utilizzano le sostanze organiche e l’ossigeno disciolti nel liquame per la loro attività vitale e riproduttiva: in questo modo si formano colonie di batteri facilmente eliminabili nella successiva fase di sedimentazione. Per un ottimale assorbimento delle sostanze è necessario un decisivo apporto di ossigeno, che avviene di solito mediante insufflazione.
La separazione dei fiocchi di fango dalla miscela aerata si ottiene per sedimentazione, in una vasca apposita. Ciò che è rimasto viene poi raccolto, quindi una parte del fango attivo viene fatta ricircolare nella vasca di aerazione e la quota in eccesso viene inviata al trattamento successivo. In questa fase del processo, l’acqua in uscita dalla sedimentazione finale può definirsi pulita e può pertanto essere restituita al corso d’acqua superficiale.
Oltre ai processi meccanici e biologici, sono necessari anche altri trattamenti, che hanno lo scopo di limitare la presenza di sostanze nutritive come azoto e fosforo nello scarico finale, poiché possono portare a problemi di ipertrofia nei fiumi e laghi. Anche in questo caso, la rimozione dell’azoto avviene con processi biologici, utilizzando batteri speciali nelle vasche di ossidazione, mentre per l’eliminazione del fosforo si ricorre ad un processo chimico.
I numeri
Al 2018 risultano in esercizio in Italia poco più di 18mila impianti di depurazione delle acque reflue urbane, numero che - nonostante il leggero aumento - non è ancora sufficiente a soddisfare i fabbisogni della popolazione: 1,6 milioni di cittadini vivono attualmente in aree prive di depuratori (Istat 2020). Nel 2018 i fanghi da trattamento acque reflue urbane prodotti in Italia sono stati nel complesso 3,1 milioni di tonnellate (Fonte ISPRA). La situazione sul territorio è alquanto eterogenea: nelle regioni dove la depurazione è più efficiente si ha una maggior produzione di fanghi. In testa si trovano la Lombardia (14,0%), l’Emilia Romagna (12,2%), il Veneto (12,0%) e il Lazio (11,6%). In coda risultano invece Sicilia, Calabria, Valle d’Aosta, Molise e Basilicata.
Il processo di recupero
Dopo aver eseguito le necessarie analisi dei fanghi, si passa al recupero, che può avvenire con modalità diverse: attraverso lo spandimento in agricoltura, che consente il riutilizzo di nutrienti (tra cui l’azoto e il fosforo), di micronutrienti e sostanze organiche ed è in linea con l’economia circolare, oppure con produzione di compost, anch’esso pensato per usi agricoli e che prevede l’aggiunta di strutturanti (ramaglie e potature) ai fanghi; necessita quindi di impianti grandi e tempi lunghi di lavorazione. Altra strada è quella della valorizzazione energetica dei fanghi, che può avvenire nei termovalorizzatori a integrazione dei rifiuti solidi urbani o ad altre biomasse o in impianti dedicati che consentono, oltre appunto alla produzione energetica, il recupero del fosforo dalle ceneri; infine, va ricordata la digestione anaerobica per la produzione di biogas/biometano e digestato.
Una volta sedimentati, i fanghi vengono compressi, aumentando la concentrazione dei solidi e riducendone il volume del materiale ottenuto, che viene poi inviato a un digestore nel quale rimane per circa 20 giorni, in ambiente anossico e a una temperatura di 35 °C.
Batteri specializzati riducono la sostanza organica e la trasformano in sostanze inorganiche, producendo come risultato del loro metabolismo un gas ad alto contenuto di metano (biogas). Il gas ottenuto viene utilizzato come fonte energetica per la produzione di energia elettrica e di riscaldamento.
Con la disidratazione meccanica, invece, il volume del fango si riduce di sei volte. Il prodotto così ottenuto presenta una consistenza semisolida che ne consente un agevole utilizzo in agricoltura, nel compostaggio o per lo smaltimento in discarica.
a cura della redazione di e-gazette